Oggi mi hanno distrutto...
sono uscita da quell'ufficio provando una profonda tristezza, amarezza e preoccupazione.
L'incontro è iniziato facendoci leggere le lettere che avevamo scritto al nostro bimbo.
Ha cominciato Cristian.
Bella lettera, ma in un punto, secondo l'assistente sociale, faceva quasi emergere che il bimbo adottato fosse un "rimpiazzo" del bimbo biologico non avuto.
Ora vaglielo a spiegare che Cristian si è solo espresso male, ma che lungi da lui pensare una cosa del genere.
E poi parte con la provocazione:" siete sicuri di aver superato il fatto di non poter essere genitori biologici?"
Cristian atterrato, ma concludono ribadendo che è una gran bella lettera, piena di dolcezza, scritta con un linguaggio adatto e comprensibile per un bambino.
Poi parto io. E interviene lo psicologo. Avete presente quando ad un'interrogazione il professore interrompe dicendo "ma non è proprio così. Oppure: no, è sbagliato." Avete presente come ci si sente? Ecco, mi sono sentita, forse perché ci avevo messo il cuore in quella lettera, affranta. Distrutta. Colpita e affondata.
Ha contestato il fatto che io non avessi considerato che il bimbo forse aveva avuto un'infanzia felice comunque, che avesse trovato comunque degli affetti nell'istituto.
Io avevo semplicemente scritto "forse nella vita hai sofferto, forse qualche volta hai pianto", ma non ho assolutamente messo in dubbio quello che poteva sentire e provare in questo momento. Ma non l'ho tenuto in considerazione, ed è questo che mi è stato contestato.
"Due bellissime lettere, piene di dolcezza e di amore, che emerge dalle vostre parole," hanno detto concludendo. Ma la mia testa ormai aveva interiorizzato solo quello che mi era stato detto prima.
Soprattutto la provocazione "siete sicuri di aver superato il fatto di non poter essere genitori biologici".
Sì, l'abbiamo superata.
L'abbiamo superata perché altrimenti non saremmo qui. Altrimenti non ci faremmo un "fegato tanto" per cercare di poter portare a termine questo cammino, per poter finalmente abbracciare un giorno nostro figlio.
Perchè altrimenti avrei girato mezza Europa per far fecondazioni a destra e manca finché non ne andava bene una.
Avrei stritolato le mie ovaie e i testicoli di mio marito senza pietà. Perché forse, nonostante i fallimenti delle fecondazioni, in fin dei conti, far crescere il proprio figlio nella pancia è comunque più facile che andarlo a prendere in Colombia.
Perché quel bambino colombiano, cinese, congolese o quel che è, magari è cresciuto a suon di botte; magari i genitori hanno abusato di lui; magari semplicemente non l'hanno voluto e l'hanno abbandonato in un bidone come va tanto di moda ora. E allora ecco che far crescere un bambino nella propria pancia è più semplice. Anche se il seme viene da chicchessia, o gli ovuli me li ha donati la signora Maria.
Abbiamo intrapreso questo cammino, con dolore, con fatica. E ogni giorno che passa è sempre più dura.
Ci volete ferire? Ce la state facendo. Ma noi cadiamo, e ci rialziamo. Come abbiamo fatto tante volte, perché caro psicologo e care assistenti sociali, l'amore con mio marito è forte.
Oggi è più forte che mai, anche se siamo tutti acciaccati.
"Barcolliamo, ma non molliamo". E sapremo essere dei bravi genitori; e gli daremo gioia, felicità, serenità e tutto il resto.
E che vinca il più forte.