lunedì 30 marzo 2020

#andratuttobene

Quando finirà tutto questo, quello che mi rimarrà di più nel cuore non saranno i segni sul viso, le sudate sotto la tuta, la paura di contaminarmi o i turni massacranti. Quello che mi rimarrà di più nel cuore saranno gli sguardi e le parole dei pazienti.

È straziante veder morire soli i pazienti Covid-19

Lavoro in rianimazione, un luogo non particolarmente abituato a grandi chiacchiere, tranne che con i famigliari. Normalmente sono poche le chiacchiere scambiate con i pazienti, e in tempo di Covid le chiacchiere sono ancora meno.

In tempo di Covid c'è solo un momento in cui si parla con lui ed è quello il momento più difficile. È il momento in cui lo si va ad intubare, in medicina, in malattie infettive, in Pronto soccorso. È il momento in cui gli si spiega quello che si sta per fare e quello che ne sarà delle giornate a venire.

E ogni volta, il sentimento che emerge è la paura. Paura della malattia. Paura di non risvegliarsi. Paura di morire.

E il loro pensiero, in quel momento, va alle loro famiglie. E se in quel momento fanno anche una telefonata a casa, il tutto diventa ancora più straziante.

Dottoressa, chiama mia moglie dopo, vero? Le dica che fra 2 o 3 giorni esco e la chiamoDopo chiama mio marito? Gli dica di non preoccuparsi e che sto bene.

E poi la videochiamata.

Babbo, adesso ti mettono un tubicino nella gola così mettono i polmoni a riposo e gli diamo il tempo di guarire. Hai capito? Sto cercando di capireOk babbo non ti preoccupare, andrà tutto bene. Ti voglio bene, babboTi voglio bene anche io.

Tu infermiere sai che quei due-tre giorni saranno due-tre settimane, nella migliore delle ipotesi. Ma lo sa anche lui, il tuo paziente.

È straziante il momento del saluto. È straziante vedere la paura nei loro occhi

È straziante, da figlio/marito/fratello sapere di non poterli supportare nella malattia, stando vicini al loro letto, aiutandoli a farsi la barba al mattino o facendogli un massaggio ai piedi. È straziante ricevere informazioni per telefono, perché è un ospedale Covid e non si può accedere.

È straziante saperli morire, da soli.

La prima estubazione di un paziente Covid

Ah, dimenticavo. C'è anche un altro momento in cui si parla col paziente: quando finalmente si sveglia da questo lungo ed interminabile periodo di riposo.

Giorno X, prima estubazione di un paziente Covid. La prima frase del paziente: Io entro sera devo andare a casa!

Devi portare pazienza ancora qualche giorno, sei appena stato estubato. E la sai una cosa? Tu sei la nostra più grande soddisfazioneOk. Ma io entro sera devo andare a casa.

Enzo, mi senti?

Fa sì, con la testa.

Enzo stai bene adesso!

Fa sì, con la testa.

Enzo, hai paura?

Fa sì, con la testa.

Adesso stai bene, saremo presto fuori da qui.

Mannaggia a queste mascherine e agli occhialoni da sub. Si appannano che è una meraviglia. Ma almeno non si vedono gli occhi degli infermieri. Gli occhi pieni di lacrime.



https://www.nurse24.it/dossier/covid19/cosa-rimarra-nel-cuore-di-tutto-questo.html

domenica 22 marzo 2020

Le stelle marine

Il periodo non é dei migliori.
In rianimazione la situazione non é rosea, e non si vede la fine di tutto questo disastro.
Ce la stiamo mettendo tutta, ma é dura, molto dura.
Talmente dura da portare a casa la tristezza, la voglia di piangere, il nervosismo, la paura, l'ansia.
Quando sarà tutto passato, magari riuscirò ad esprimere a parole tutto quello che stiamo vivendo e vedendo con i nostri occhi.
Nel frattempo, lascio la storia del bambino e delle stelle marine.


Una tempesta terribile scoppiò sul mare.
Ondate gigantesche si abbattevano sulla spiaggia e aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche troupe televisive per filmare lo strano fenomeno. Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo.
Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.
All’improvviso il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripetè l’operazione.
Dalla balaustra di cemento, un uomo lo chiamò: «Ma che fai, ragazzino?»
«Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia» – rispose il bambino senza smettere di correre.
«Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!» – gridò l’uomo. «E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!».
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: «Ho cambiato le cose per questa qui».
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua.